giovedì, febbraio 09, 2012

Autorivolta

Banale. Mi hai detto: "non essere banale".

Vorrei scrivere del nero che ho intorno, nella mia stanza.
Con una mano mi sfioro i capelli: quella ciocca riccia che mi cade sulla narice sinistra, la sposto.
Chiudo gli occhi e chino indietro il capo.
Raccolgo una lacrima, e penso: "com'è difficile essere me".

Vorrei renderti felice. Vorrei poter non far soffrire i tuoi occhi verdi, non esserne in grado.
In una poesia che ti scrissi, li paragonai alle immense e floride praterie dove si lasciano correre i cavalli selvaggi come me.
Raccolgo una lacrima.

Vorrei poterti abbracciare, ancora. Ancora una volta, vorrei sentire il tuo cuore battere all'unisono con il mio.
Raccolgo un'altra lacrima, e aumenta l'intensità della rabbia.

E parlo di nulla, io, Mercuzio, dicono, possibile, quasi certo anzi.
E penso che non è per sempre, niente, in questa vita.
Forse nella prossima sarà diverso, tutto diverso.
L'ho detto spesso. Lo dico spesso.
Sono convinta di quello che dico, ora no, però: sono solo troppo stanca.
E troppo piena di te.

Vorrei essere un'altra, per poterti completare; per non bastarti mai e condividere insieme a te il resto dei miei anni senza un attimo di timore.
E sono qui, con un secchio di bile, a piangere di nulla, a parlare di nulla: della paura, forse.
Alla velocità della luce mi muovo, per poter continuare a vivere.
Per la mia stupida, insensata, infantile e lacerante paura della vita!
E distruggo tutto quello che creo, per poterlo ricostruire.
Non mi piace soffermarmi ad osservare e valutare ciò che mi riguarda: penserò sempre che fa schifo, e ciò mi rende nervosa. Così distruggo, e non ci penso più. E siamo tutti contenti. Tu no, credo. Io nemmeno, giuro. Ma siamo tutti contenti.

Niente è per sempre. Nemmeno la morte.
Dimmi che è vero. Dimmi che non esiste niente intorno.
Dimmi che sono viva. Dimmi una cazzata.

Dammi uno schiaffo.

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