venerdì, febbraio 10, 2012

Cuore nero


Lacerami il cuore, te ne prego.
Sevizia ogni singola parte di me.
Stupra il mio cervello, ossigenalo, e poi fustigalo, ancora ed ancora.
Estirpami la memoria. Impossessati dell'anima. Cercala, prima, l'anima.

Prendi il mio cuore, strappalo dal petto, e scaglialo con foga contro la parete. Guardalo. Osservalo. Studialo. Poi, lancialo.
Nota i dettagli: essi costituiscono la struttura di ciò che di me resta, dopo la guerra, di ciò che di me non vedi - e mai vedrai - né percepisci.
Ammiralo, in tutta la sua instabilità. La sua struttura è simile a quella di un prisma, dagli spigoli posizionati irregolarmente, nevroticamente, in un assetto casuale e fitto: un fitto intreccio di spigoli, è il mio cuore.
Sembra un riccio, dalla squamosa superficie.
E' un carapce, dalla forma irregolare di un simil-prisma.

LANCIALO!

La scia rosso sangue ti imbratta la faccia, lasciandoti un sapore acre, sulle tue labbra.
Un sapore che penetra nella tua testa; che terribile lancinante dolore, provi: nel cuore, nello stomaco, nell'intestino che pulsa come se avesse vita propria. Produci bile, e quel sapore è così nauseante che corri a cercare dell'acqua per lavar via anche il ricordo, di quella terribile sensazione.

Il cuore si schianta contro la parete, in un impeto di disumana rabbia, di ingiustificata violenza.
Chiazze di sangue coagulato imbrattano la tinta unita, di bianco candido costituita, contro la quale ha urtato, quel povero cuore.
Si attacca al muro, come una melma viscida omogenea e compatta.
Si deforma, a causa dell'urto, e si ristabilizza in pochissimi attimi.
Scivola, giù, lungo l'intonaco, lentamente.

Impegnato in un'affannosa ricerca, preghi di trovare dell'acqua, o dell'alcool.
Ansimi con una frequenza incalzante ed il dolore diventa acuto, sempre più acuto. Lancinanti fitte alla gola. Credi di morire. Speri di morire.
Acido. Il sapore acido che ti sta entrando nel sangue è come la nicotina, come l'eroina: come la più viscida e subdola delle droghe.
Aria, manca l'aria. Manca l'acqua. Manca l'alcool, non importa sotto quale forma. Anche l'etilico, va bene. In tal caso, ti appiccheresti fuoco, pur di non soffrire così. Acido, macabro sapore. Ti entra nelle gengive.

Quel cuore continua a scivolare, come una lumaca, e la scia di muco scuro di sangue coagulato imbratta l'intonaco perfetto che lascia dietro sè.

Emette una lancinante vibrazione, che ti insegue e ti raggiunge, nell'altra stanza. Aggira il padiglione, affinchè non venga incanalato, per arrivare dritto all'essenza, al tamburo, al timpano. Esplode in un boato sordo.

Un suono lacerante, simile al fastidio che provi quando un armadio enorme di metallo strìde sulle mattonelle del pavimento sulla quale sei caduto, acuisce la tua sofferenza e ti rantoli in terra. Maledetta velocità del suono.
Ti ha raggirato e alle spalle ti ha assalito, mentre frugavi in ogni anta di questa casa, alla ricerca di un liquido che ti potesse togliere quell'acre sapore e guarire dalle mille malattie che ora ti pervadono, come chiara e pulita conseguenza dello schizzo insanguinato di scuro e torbido veleno.

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