lunedì, giugno 30, 2014

martedì, giugno 24, 2014

Sfodera la penna, compagno

Quando hai smesso di scrivere è stato un po' come quando i REM si sono sciolti:
UNA CATASTROFE,
soprattutto perché non sono mai riuscita a vederli live, dannazione.

Di tuo pugno, da quando ti conosco, sono riuscita a leggere troppo poco.
Tutto quello che hai scritto prima di quel giorno l'ho già letto e riletto mille volte ma non mi sono mai sentita soddisfatta perché sono cose che non posso tuttora capire a fondo.
Le cose che invece hai scritto da quell'ottobre duemilaundici, mi hanno fatto così innamorare del modo che hai di esprimere i tuoi pensieri che se pubblicassi a pagamento, spenderei il mio stipendio per sfamarmi con le tue parole.

Ecco, è un po' come se Palahniuk smettesse di scrivere.
...
Ti rendi conto?! Ed io che faccio? Mi ammazzo.

Siamo blogger da quattro soldi, scriviamo di cose a caso, di momenti tristi e di momenti felici, di sogni e di paure, di estratti della nostra fantasia. Non occorre essere così pretenziosi per rimettere le mani sulla tastiera e pubblicare per noi poveri morti d'inchiostro digitale.
Insomma, puoi anche farcela la grazia.

Dobbiamo ancora scrivere un libro, il prototipo e l'idea la conservo ancora, anche se il progetto si è spento insieme a noi.

Forse scrivere ti farebbe bene per poter esercitare quella scarsissima voglia che hai di parlare di te. Anzi no, voglia di parlare in generale.
Scrivi benissimo, in modo sublime, eccelso, (altri sinonimi maestosi), anche quando parli di nero e morte. Scrivi da Dio anche se inventi un racconto inverosimile. Scrivi da favola anche quando non ti impegni ma lasci che le dita si muovano libere sui tasti di un computer.

C'è gente che vive per sentire il suono della tua voce, dal vivo o in radio, o per leggere le tortuose e lunghe frasi dei tuoi scritti. Pensaci, questo è tentato omicidio.

Torna a scrivere, hai tantissime cose da urlare al mondo ed io ho davvero bisogno di continuare a leggerti.

domenica, giugno 22, 2014

L'amore è solo questione di fortuna (ed io sono una sfigata!)

L'amore è una cosa di cui parlano tutti, anche chi forse non se lo può permettere.
Lo descrivono con gli appellativi più contraddittori eppure forse tutti molto veri.

Qualcuno lo definisce la cosa più sbagliata che si possa far entrare nella propria esistenza, ma credo che principalmente questo sia colpa delle persone di cui ci si innamora, del fatto che si scelgono sempre quelle sbagliate o del fatto che tutte le persone sono, in fondo, un po' sbagliate.
Qualcun altro lo definisce come l'esperienza più mirabolante che si possa mai vivere, come qualcosa che sa cambiarti la vita, che sa darti tutto quello che tu da solo non potrai mai ottenere; come un riempirsi, un completarsi, un non avere più fame e rilassarsi con il senso di sazietà; come un dar senso a qualcosa che in trent'anni interi un senso non ha mai avuto.

Sono interpretazioni, sono visioni e credo che siano tutte più che ragionevoli, di una cosa che non ha nessuna forma standard e nessuna classificazione da vocabolario.
Molto spesso l'interpretazione positiva è derivata da una mera questione di fortuna.
Possiamo essere le persone migliori di questo mondo, che hanno passato l'intera esistenza a correggersi, a crescere, a migliorare per poter essere persone con sempre meno problemi e sempre più piacevoli, ma se hai sfiga non hai molto da poter sperare.
La tua fortuna potrà essere solo quella di poter vivere di felicità riflessa, quella derivata dall'aver fatto aprire gli occhi alle persone che si sono scontrate in malo modo con la tua vita, che ti hanno prosciugato di ogni respiro e di ogni progetto, per poter far capire loro che sono persone fortunate e che possono essere davvero felici: basta solo volerlo.

Un giorno posso essere felice anche io, devo solo avere più fortuna e trovare qualcuno che mi ami o faccia per me almeno 1/10 di quello che merito.

sabato, giugno 21, 2014

Sfumature di nero



Credo che il motivo principale per cui ti amo così visceralmente è che a parte alcune grossi tratti di colore, io e te siamo persone tendenti alla stessa sfumatura. Manifestiamo il nostro malessere in modo completamente diverso eppure siamo entrambi vittime della stessa paura.

Inizio a rendermi conto solo adesso che di alcune cose di cui ti ho giudicato, in realtà sono cose che mi appartengono tanto quanto appartengono a te. Siamo figli dello stesso desiderio, cresciuti solo in modo radicalmente diverso ed io ti amo in modo così folle da non provare rancore o rabbia perché tu sei come me, solo più scuro e cupo.

Guardando fuori dalla finestra, mi sento un po' come le vecchie che stanno per generazioni sedute su una vecchia e logora sedia di legno scuro, davanti al portone di casa, a guardar passare il mondo intorno. Eppure, fuori da questa finestra, così come fra queste quattro vuote mura, non passa un solo secondo senza che mi manchi.

giovedì, giugno 19, 2014

Linus

Ho appena voltato le spalle a quella che fino a ieri era casa mia, zaino con dentro un po' di cibarie e due rivoli di lacrime lungo le guance. Era ora di partire, mamma me lo aveva detto che un giorno sarei diventato un uomo, eppure mi ero tanto affannato per riuscire a procrastinare questo momento.
Tira un vento leggero e l'odore del grano mi fa pensare alla birra, al fatto che ne vorrei almeno due litri per poterci immergere la testa e affogarmi. Non riesco a voltarmi indietro, così mi incammino.
Ho portato con me una bussola con la speranza di non perdermi, anche se di fatto non ho bene idea di dove devo andare.

"E' ora di crescere", mi ero detto mentre ripiegavo il sacco a pelo. Ma a che pro?
Non posso continuare a guardare il mondo con gli occhi grandi e brillanti di un bambino?
Non posso continuare a sorprendermi della cattiveria che arma le mani delle persone?
"E' ora di crescere". Mah, fuori farà sicuramente freddo, così ho portato una coperta.

Sento piangere mia sorella e diventa quasi un sottofondo che si mescola con il soffiare del vento. Il vecchio del paese mi guarda andare via, con il suo gracile peso gettato sulla vanga che impugna; muove leggermente l'angolo della bocca, ad accennare un sorriso che non può più permettersi, e mi guarda finché riesce senza scostare il capo.
Il vento si è portato via il dolore di mia sorella. Forse un giorno riuscirà a farlo anche col mio.

martedì, giugno 17, 2014

Una vita alla finestra

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Lui l'aspettava spesso alla finestra. Lei arrivava in taxi, come le vere signore. Lui era lì, in attesa della sua ventata di vita.

L'aspettava quasi sempre guardando la strada che costeggiava l'uscio del suo palazzo. L'aspettava da un'altezza di circa dieci metri, seduto su una vecchia sedia di vimini, brutta e logora come il suo viso, coperto di rughe e cicatrici, marchio di troppi anni passati a soffrire.
A vetri rigorosamente chiusi, la finestra era per lui una sorta di muro speciale: si sentiva nascosto e riparato, ma con il privilegio di poter essere indagatore.
Si sentiva protetto, dietro quella finestra. E aspettava.

L'aspettava in particolar modo quando pioveva e fuori imperversava la bufera.
L'aspettava soprattutto quando la sua vita era in grado di illuminarsi solo con i lampi.
Diventava trementamende cogitabondo e cupo, quando pioveva. Osservava i suoi errori e i suoi fallimenti riflettersi in ogni singola goccia e schiantarsi con un assordante rombo sull'asfalto. Sentiva la miseria della sua vita come crampi allo stomaco, che lo faceva accortocciare come carta stagnola ad ogni tuono. Percepiva il vuoto del suo sentiero, percorso e non, come gracchiare di corvi neri sull'albero di fronte la finestra.
E' quando piove che lui ha bisogno di lei, per provare a bastarsi mozzicando un briciolo d'amore da quelle mutande di pizzo nero.
E' quando piove che lui la prenota per tutta la sera, fino all'indomani mattina, per colmare il vuoto del suo cuore come lei scalda il gelo del suo letto.

E quando Monica arriva, protetta dal taxi bianco, lui è ancora lì, alla finestra.

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